testo, regia, interpretazione: Alfonso Santagata
interpretazione: Tommaso Checcucci
luci e suoni: Luca Privitera
organizzazione: Rita Campinoti
amministrazione: Laura Bagnoli
collaborazione al progetto: Franco Coda
Sono anni che ricerco e raccolgo materiali sul brigantaggio e potrei continuare ancora per anni senza riuscire a finire, data l’enorme quantità di documentazione su queste figure.
Ho scelto di occuparmi dei tre confini tra Basilicata, Campania e Puglia, poiché hanno rappresentato per i briganti un triangolo di facile sconfinamento per agguati, fughe e rifugi.
Solo nel periodo che va dal 1860 al 1866 su questo triangolo territoriale si contano migliaia di briganti, che vivono alla macchia passando velocemente da una regione all’altra.
Se dovessi indicare in quale percorso inserire queste storie sui briganti, penso alle tentazioni di un mondo che voglio attraversare per cogliere qualcosa che mi appartiene
Le figure di questa scelta artistica estrema comunicano crudeltà e poesia: una complessità lontana dalla fascinazione romantica e dal giudizio cinico e negativo.
Non mi occuperò dei briganti più famosi, quelli che la cronaca più che la storia ha catalogato, controllato, mitizzato e quindi svuotato da ogni motivazione politica facendoli così cadere nell’oblio.
Fra le centinaia di storie di briganti che ho conosciuto ne ho scelto tre.
La prima storia è quella del traditore Giuseppe Caruso, brigante in carriera nella banda del comandante Crocco e poi spia passata all’esercito piemontese per distruggere Crocco e i suoi. Caruso, tradendo, è riuscito a distruggere la banda di Crocco ma Crocco non gli dà pace e la notte mentre dorme lo schernisce: “Crocco la notte mentre dormo viene a trovarmi mi ride in faccia e se ne va “.
La prima volta che Caruso si trova di fronte agli occhi del comandante Crocco, è così emozionato che non riesce a salutare: “Volevo salutare, ma la voce non mi usciva, m’indurivo e tremavo” La sua è stata una carriera accelerata; Crocco lo stimava: “in ogni operazione io mi distinguevo sempre, c’era sempre qualcosa che mi distingueva dagl’altri e il comandante Crocco lo notava sempre”; fatto vice, con una sua piccola banda, fa parte della grande banda di Crocco di oltre duemila uomini. In questo modo viene a conoscere tutti i nascondigli e i confidenti: notizie che al momento del tradimento sono utili: “finalmente sono riuscito a distruggere la banda di Crocco; il generale Pallavicini mi ha voluto premiare, mi ha fatto brigadiere delle guardie forestali a cavallo”.
La seconda storia riguarda Pilone, brigante campano, già soldato borbonico idealista e ingenuo, tradito a Napoli dal suo compare. Pilone, come lavoro, modifica pietre e all’arrivo di Garibaldi si arruola con i Borboni; sconfitto, torna al suo paese, a Boscotrecase, ma i suoi paesani lo considerano uno sbandato borbonico, pericoloso, che gira armato. Il sindaco Antonio Oliva non gli dà pace, così Pilone, da latitante, forma la sua banda, fatta di soldati allo sbando, delinquenti, affamati e anche di un eremita. Pilone si sentiva importante in mezzo a tutta quella gente, anche per il fatto di vedere il suo nome su tutti i manifesti da ricercato. Con la sua banda attaccava la guardia nazionale per recuperare armi; combatteva per ristabilire un governo locale borbonico; viene insignito Cavaliere e condottiero del suo esercito da sua maestà Francesco II. Pilone girava sempre con le foto di S.M. la regina Maria Sofia, e S.M. Francesco II, con la dedica dietro: “Al Cavalier Pilone con stima e ammirazione”. Mentre compie attacchi e razzie per ristabilire l’ordine borbonico e chiede riscatti a vari nobili locali, viene tradito e arrestato; ma Pilone non ricorda niente, solo che ha visto tanto sangue: “ho saputo che il mio corpo l’hanno esposto in questura e che tutti finalmente potevano vedere da vicino, senza avere paura, il famigerato brigante Pilone disarmato, ubbidiente e per sempre in silenzio”.
La terza storia è quella di due dei cinquantaquattro paesi rasi al suolo e bruciati dai Piemontesi, dopo averne trucidato tutti gli abitanti. Pontelandolfo e Casalduni dovevano rappresentare la lezione da dare a chi non accettava i piemontesi: il generale Cialdini ordinava ai suoi uomini di non lasciare testimoni e soprattutto di non lasciare “pietra su pietra”.
Il compito del teatro è quello di conoscere la complessità di un mondo per portarlo alla propria poetica drammatica. Come un atto d’amore infedele, il teatro trasfigura e inventa situazioni che sono ancora oggi vicine alla nostra memoria e alla nostra vita.
Alfonso Santagata
Stralci di recensioni
“ Sempre fedele alla sua dimensione sospesa tra emarginazione e violenza delle passioni, ma preso stavolta da insolite tentazioni “epiche”, Alfonso Santagata guarda nel suo nuovo lavoro a una ferita ancora sanguinante della storia italiana, il brigantaggio…
Secondo gusto e consuetudine, l’artista pugliese non sembra scegliere un punto di vista diretto e lineare sul fenomeno, ma cerca strade trasversali, ambiguamente a mezza via tra ideali cavallereschi ed echi di disadattamento…
Le parole recitate si alternano a una raffinata colonna sonora di voci e di rumori…Ma lo spettacolo vive soprattutto della sua forte prova interpretativa, delle sue cadenze ripetitive, dei suoi gesti segmentati, dell’incongrua giacca rosa su cui spiccano bizzarre cinture di lampadine e pittoreschi copricapi tintinnanti”.
Renato Palazzi, “Il Sole 24 Ore”, 31 luglio 2005
“Lontano da volontà didascaliche da trattato socio-politico…con la pacata forza del suo narrare, con la sua vena popolare autentica e raffinata Santagata evoca le loro burattinesche, povere figure….Uno spettacolo dall’anima e dall’incanto popolare di un artista che, fedele alla sua linea di ricerca che sposa passione ed emarginazione, racconta quelli che furono i poveri di una guerra di poveri.
Magda Poli, “Corriere della Sera”, 13 agosto 2005
“Superfluo aggiungere che Alfonso Santagata è bravissimo anche come interprete: giacca rossa, bandoliera di lampadine accese e bastone con sonagli (e cioè addobbato a metà fra il clown, il pazzariello e il cantastorie da fiera), introduce in tal modo uno “straniamento” che, molto efficacemente, tiene il discorso sul piano di un ammirevole equilibrio, lontano sia dalla complicità romantica sia dal rifiuto moralistico e cinico.”
Enrico Fiore, “Il mattino”, 10 settembre 2005
“ Un po’ marionetta di Totò, un po’ cantastorie alla Cicco Busacca, con un elmo di specchietti, una giacca rosa fuori misura, un bastone con campanelli pronto a trasformarsi in schioppo, e, al posto della bandoliera del “cangaceiro”, una cintura di lampadine da festa di paese, Santagata, per la prima volta affabulatore, risuscita dalla tomba tre briganti poco noti con i loro destini tragici e le loro storie non addomesticate da aureole romantiche né da denunce sociali di quello che fu un vero genocidio…”.
Nico Garrone, “la Repubblica”, 12 settembre 2005
“…è un breve, folgorante lavoro che dalla storia di questi eroi irregolari tira fuori il personaggio più aspro e difficile…La storia è bella, ma la cosa più interessante è il lavoro fatto da Santagata, che non cede all’ormai usurata formula del teatro di narrazione, né si banalizza in una impossibile immedesimazione. Ne fa invece un nuovo teatro epico, straniante nel forzare lo spettatore verso uno sguardo strabico e distante, ma anche coinvolgente per la passione, i sentimenti, le emozioni che la sua interpretazione, i piccoli gesti ripetuti, le danze impacciate, le parole sfumate, accendono.”
Anna Bandettini, “la Repubblica”, 8 ottobre 2005
NOTA TECNICA:
Il sole del brigante può essere realizzato sia al chiuso che all’aperto, in quest’ultimo caso può svolgersi su una pedana col pubblico antistante o come un percorso itinerante. Nel caso in cui lo spettacolo fosse itinerante, il numero degli spettatori sarà da concordare con il regista.
Con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Toscana, Comune di San Casciano Val di Pesa